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Belzec - Fughe dai trasporti

Ultimo aggiornamento 9 Giugno 2006





Questo argomento non è mai stato descritto in modo dettagliato. Ad ogni modo, si può affermare che fu una forma di resistenza molto frequente da parte degli Ebrei durante l’Aktion Reinhard. Quando le deportazioni verso il campo di sterminio di Belzec iniziarono, la maggior parte delle vittime credeva veramente che i treni portassero gli ebrei in Ucraina a lavorare. Persino quando i primi fuggiaschi dei treni, o scappati direttamente da Belzec, ritornarono ai ghetti (come Lejb Wolsztejn del ghetto di Zamosc, Mina Astman di Zolkiew, o tre ragazzi il cui nome non è noto, che ritornarono nel ghetto di Lublino nel Marzo 1942), gli altri Ebrei non potevano credere che fosse possibile uccidere migliaia di persone in così poco tempo. Solo dopo alcuni mesi, quando i trasporti continuarono e divennero sempre più frequenti, la gente iniziò a pensare al modo per salvare la propria vita. Alcuni cercarono di nascondersi in bunker all’interno dei ghetti; altri tentarono di scappare dai ghetti e sopravvivere nella “zona ariana”. Per quelli che si trovarono sui treni, l’unico modo per provare a sopravvivere fu saltare dal treno - era il loro ultimo disponibile atto di resistenza. Nell’autunno-inverno 1942, centinaia di persone cercarono di saltare dai treni che andavano a Belzec. Oggigiorno gli anziani abitanti polacchi dei villaggi lungo la linea ferroviaria da Lublino a Belzec, specialmente quelli vicini a Belzec, ricordano ancora i “saltatori”. La maggior parte venne uccisa dalle guardie sui treni. Alcuni furono uccisi dalla caduta stessa. Persone seriamente ferite molto spesso morirono solo dopo essere rimaste molti giorni lungo il binario, sia perchè i Polacchi o gli Ucraini avevano paura nel dare loro aiuto, sia perchè furono uccisi dai poliziotti che controllavano le linee ferroviarie. Alcuni saltatori furono denunciati da collaboratori locali. Solo un numero molto piccolo sopravvisse.
Le persone tentarono di saltare dai treni persino quando i trasporti avevano già raggiunto il villaggio di Belzec. Nell’ autunno 1942 accadde un incidente molto famoso, quando un gruppo di deportati Ebrei ruppe la parete del carro bestiame in cui si trovava e iniziò a saltar fuori, mentre il treno stava passando tra le case del villaggio. Molto rapidamente membri del personale SS del campo di sterminio e poliziotti Tedeschi provenienti Tomaszow Lubelski organizzarono una caccia per catturarli. Molte persone di questo trasporto vennero uccise davanti agli occhi degli abitanti polacchi di Belzec. Non è noto se qualcuno di questo gruppo possa essere sopravvissuto.
Deportati saltarono anche dai treni della morte lungo le linee ferroviarie verso Sobibor e Treblinka. Di seguito presentiamo due brani tratti dalle memorie di persone che sopravvissero in quanto saltarono dal treno, e una descrizione di qualcuno che vide i “saltatori”.

Brano tratto dalle memorie di Mila Szternzys:
"Il reinsediamento su vasta scala degli Ebrei iniziò nel 1942 e il 18 Ottobre 1942 i Tedeschi ordinarono a tutti gli Ebrei di andare a Izbica. Camminammo per circa 5 ore, da Zolkiewka a Izbica. Ci radunammo tutti davanti al cinema, e fummo divisi in gruppi secondo le città di provenienza (Zamosc, Zolkiewka, Turobin, Krasnystaw, Piaski...). Ricordo che quel giorno pioveva ed era molto freddo. Più tardi i Tedeschi ci ordinarono di salire sul treno.
Ordinarono: 'Gli abitanti di Zolkiewka devono salire sul treno!' L’intero gruppo corse al treno, e poi i Tedeschi cambiarono l’ordine e inviarono un altro gruppo, e così fummo tormentati fino a sera. NelIo stesso tempo ci sparavano. Ricordo persone uccise, pioggia, sangue, pianti e urla. Questo fu quando il Rabbino Feldhendler, sua moglie e sua figlia vennero uccisi. La mia famiglia ed io andammo al treno. C’erano carri bestiame per animali, e sul pavimento c’era cloro. L’aria era soffocante e fummo ammucchiati in questo carro bestiame; alcune persone erano morenti, altre già morte e noi stemmo sui loro corpi, e questo cloro ci irritava gli occhi. Non avevamo cibo e acqua e io rimasi vicina alla parete. Attraverso un buco della parete del carro bestiame ho potuto raccogliere un cucchiaio di pioggia e berne un poco. Fui in grado di scrivere una lettera al Signor Krol (un nostro vicino di Zolkiewka) e gettarla fuori dal vagone.
Dopo tre ore il treno partì in direzione di Belzec - sapevamo esattamente dove stavamo andando. Gli uomini tolsero la grata dal finestrino. Le persone iniziarono a saltare dal treno. Mio fratello era già saltato, e mia madre mi disse: 'Salta fuori, bambina mia, tu hai così tante amiche, ti aiuteranno!' Saltai fuori dopo la seconda stazione ferroviaria (Zawada) e fui fortunata poiché caddi in una buca. Altri furono meno fortunati - saltarono proprio sotto il treno successivo, o furono poi uccisi da pallottole tedesche (i Tedeschi ci sparavano). Fui colpita da una pallottola alla coscia ma non me ne accorsi. Mi slogai entrambe le gambe e non riuscivo a camminare. Fortunatamente, trovai un uomo con un cuore grande che si chiamava Marcin Szewc. Passava con un cavallo e un carretto, e mi trovò. Quando mi chiese cosa fosse successo, mentii, dicendo di essere polacca e che i Tedeschi volevano deportarmi in Germania al lavoro forzato, ma io ero fuggita. Il signor Szewc prese le mie mani, mi mise sul suo carretto e mi portò alla sua casa.
"

L’autrice di queste memorie perse nel campo di sterminio di Belzec i suoi genitori Szmul Frydrych, nato nel 1899 e Pesa Frydrych, nata nel 1898, sua sorella Ruchla, nata nel 1928, e suo fratello Abram Frydrych, nato nel 1935. Sebbene Marcin Szewc si rese conto che Mila Frydrych-Szternzys era Ebrea, la aiutò a guarire, e quando fu ristabilita la portò di nascosto in un villaggio vicino Zolkiewka, dove sopravvisse. Nel 2004 la donna viveva in Brasile.

Brano tratto dalla testimonianza di Franciszek Wloch (Archivi Yad Vashem, 03/1132):

Rawa Ruska
Rawa Ruska
All’inizio delle deportazioni verso Belzec, la gente indossava i propri abiti e ancora aveva oggetti di valore, che usò soprattutto per pagare l’acqua che veniva portata dal personale della stazione, consegnandoli attraverso le finestre del treno. Era possibile parlare con loro. Gli Ebrei che lavoravano alla stazione ferroviaria li avvisarono che circa 22 km più avanti c’era un campo di sterminio. Le persone nei carri bestiame non credettero, risero e dissero loro che i Tedeschi li stavano portando a lavorare...
Alcuni mesi più tardi arrivarono in condizione molto peggiore. Le finestre erano chiuse con filo spinato, c’erano guardie non solo alla fine del treno ma anche all’inizio, dietro la locomotiva. C’erano anche trasporti con cloro sul pavimento dei carri bestiame. In inverno le persone erano nude e sembravano scheletri. In carri bestiame vuoti, che di ritorno passarono per Rawa Ruska, trovammo buchi attraverso i quali la gente aveva gettato i bambini o cercato di saltar fuori. Alcuni o persino dozzine di corpi di questa gente disperata vennero trovati lungo la linea ferroviaria, ogni giorno. L’intera linea era inoltre coperta da frammenti di banconote e preziosi. Talvolta succedeva che qualcuno saltasse dal trasporto con successo. Le persone nude morivano principalmente a causa del freddo.
Rawa Ruska Station
Stazione di Rawa Ruska
Non conosco casi in cui la popolazione locale, Polacca o Ucraina, salvò questi fuggiaschi. La gente del posto li aiutò soltanto dando loro pezzi di pane. I Tedeschi diedero ordini speciali, che ognuno denunciasse gli incontri con questa persone nude.
"
Wloch fu un Polacco che durante la guerra viveva a Rawa Ruska, a 22 km dal campo di sterminio di Belzec. Rawa Ruska era una delle ultime stazioni in cui fermavano i trasporti che deportavano gli Ebrei verso Belzec e, dall’inizio del 1943, a Sobibor. Wloch lavorava alla stazione ferroviaria di Rawa e poteva così osservare questi trasporti. Nel 1943 incontrò Maria Korman, una donna Ebrea che era fuggita da un trasporto, e la salvò. Dopo la guerra la sposò e nel 1957 emigrarono in Israele.

Brano tratto dalle memorie di Janett Margolies:

Sulla strada verso la morte
"L’ 8 Novembre 1942, mentre ero impegnata nel trasportare i miei averi in un’altra casa, notai che improvvisamente ci furono panico e colpi di arma da fuoco. Capii che era una Aktion, corsi dentro un’altra casa con altri vicini per nascondermi in cantina, dove c’era un nascondiglio speciale. (...)
Dopo poco tempo, i Tedeschi forzarono la porta, e insieme con la polizia ebraica, ci hanno cacciati dalla cantina, prendendo i nostri anelli, orologi, e soldi. 'Non sono più necessari.' Sono stata percossa severamente, e poi mi sono trovata vicino via Kazimierzowska.
C’erano già là molte persone. Altre vittime vi furono continuamente portate. Corpi di persone morte giacevano nelle strade. Si sentivano continuamente spari. Il personale della Gestapo, capeggiato da Miller (Müller ?), stava nel mulino del frumento sulla via Baron-Hirsch. In una piccola zona del mulino, mille persone vennero pigiate insieme, una vicina all’altra. Improvvisamente ci dissero di sederci, cosa che era naturalmente impossibile. Ma quando alcuni ricevettero colpi sulla testa con il calcio dei fucili, e il sangue cominciò a scorrere, tutti caddero sul pavimento, uno sopra l’altro. Questa posizione era insopportabile. I guardiani continuavano a picchiare. I morti e i vivi erano mischiati insieme. Persone erano sedute sui corpi dei morti, e vi camminavano sopra. I guardiani continuavano a cambiare perché non sopportavano l’aria viziata.
Fummo obbligati a sedere in questo modo per due giorni senza acqua o cibo. Nel frattempo, i membri del Judenrat e la polizia spinsero fuori i loro amici, sostituendoli con altre vittime. Il numero doveva essere esatto. Alla fine del secondo giorno, fummo condotti fuori nella strada, divisi in gruppi di dieci, e condotti alla stazione ferroviaria. Dissi addio alle strade conosciute, al cimitero, cercando di camminare velocemente, allo scopo di non essere colpita sulla testa. Venimmo circondati strettamente dalla polizia ebraica e ucraina, con la Gestapo e le SS, guidate dal soldato dei reparti d’assalto Miller (Müller ?). I Cristiani stavano sui marciapiedi, guardando impazienti verso la folla in marcia. I loro sguardi erano indifferenti, spesso persino sorridenti...
Lungo la strada, un poliziotto mi si avvicinò, sussurrandomi silenziosamente all’orecchio di unirmi alle donne più giovani nel vagone. Quando arrivammo alla stazione, gli uomini vennero separati, e noi fummo spinte verso i carri ferroviari. Osservai dove le giovani erano concentrate, unendomi a loro sul vagone, che fu chiuso e sigillato.

Un salto nella vita
Eravamo ottanta donne. Le piccole finestre erano alte, con sbarre e filo spinato. Una volta dentro, scoprimmo che qualcuno vi aveva nascosto una lima per tagliare le sbarre. Iniziai a organizzare una squadra. Levandoci in piedi sopra le altre, iniziammo a lavorare. Il treno continuava a correre. Quando il lavoro fu terminato e le sbarre tagliate, ogni candidata, gambe attraverso la finestra, tenendosi poi con le mani, quindi con una sola mano, e con una forte oscillazione, saltò nella direzione della corsa del treno.
Stavo guardando i salti. Molte di loro vennero uccise sul posto. Alcune furono uccise dai treni che arrivavano dalla direzione opposta. Altre vennero fucilate dalle guardie della Gestapo. Quelle che ebbero successo furono poi catturate da speciali guardie ferroviarie. Di tutti i saltatori dal treno di Tarnopol, credo che io fui l’unica rimasta in vita.
Ci volle un po’ di tempo per decidere di saltare, o non saltare. Mi resi conto completamente di come la situazione sembrava senza speranza. (...) Decisi di saltare. Già appesa all’esterno del vagone, mi aggrovigliai nel filo spinato. Essendo spaventata, gridai molto forte, sentendo che stavo cadendo. Si sentì uno sparo sopra la mia testa. Era una guardia. Fortunatamente mi mancò. Nello stesso momento notai una locomotiva che correva dritta verso di me. Con le mie ultime forze, rotolai giù, in una depressione. Tutto questo durò pochi secondi. Ero salva, ma seriamente ferita, con testa e mani sanguinanti. Strappai un po’ di erba gelida, mettendola sulle mie ferite. Riuscii a fermare l’emorragia. Poi mi sono pulita la faccia, rimettendomi in ordine.
"

Margolies, una donna Ebrea di Tarnopol (Galizia orientale), sopravvisse alla guerra. Dal 1941 all’ 8 Novembre 1942 si trovò nel ghetto di Tarnopol, dove sopravvisse a numerose "azioni". L’ 8 Novembre 1942 circa 2.400 Ebrei di Tarnopol vennero deportati nel campo di sterminio di Belzec. Quando i Tedeschi conquistarono Tarnopol, circa 18.000 Ebrei vivevano in città. La prima deportazione dal ghetto di Tarnopol verso Belzec fu organizzata il 31 Agosto 1942 - 5.000 persone vennero deportate in questa occasione. Solo un piccolo gruppo di giovani uomini fu selezionato e spedito al campo di lavoro di Janowska a Leopoli.
Prima di questa deportazione centinaia di Ebrei della città erano già stati massacrati durante pogroms o esecuzioni di massa. Gli Ebrei rimanenti di Tarnopol molto presto ebbero informazioni riguardo Belzec. Abitanti del ghetto ricevettero lettere da Leopoli che raccontavano il destino dei loro parenti. La successiva deportazione da Tarnopol venne organizzata il 30 Settembre e il 5 Ottobre 1942, quando 1.200 ebrei furono deportati a Belzec. L’ultima deportazione da Tarnopol verso Belzec avvenne l’ 8 Dicembre 1942, allorché 1.400 Ebrei furono inviati nel campo di sterminio.

Le memorie di Margolies vennero pubblicate sotto il titolo di "Between Cruelty and Death" in: "Alliance for Murder. The Nazi-Ukrainian Nationalist Partnership in Genocide."
Il ghetto di Tarnopol sopravvisse fino al 23 Giugno 1943, quando gli ultimi Ebrei furono giustiziati. Il capo della Gestapo, l’ SS-Sturmbannführer Hermann Müller, fu il principale responsabile dell’assassinio in massa degli Ebrei nella provincia di Tarnopol e Brzezany. Nel 1966 fu processato a Stoccarda (Germania) e condannato alla prigione a vita.

Brano tratto dalla testimonianza di Yakov Gurfein:

Rawa Ruska
Yakov Gurfein nel 1961
"Una mattina della metà di Gennaio 1943, ci svegliarono. Vedemmo che eravamo circondati dalle SS che stazionavano attorno al ghetto. Ci ordinarono di allinearci nel cortile, consentendo ad ognuno di prendere biancheria, e conducendoci a piedi al campo di Zaslaw (dal ghetto di Sanok). A Zaslaw ci misero in una stanza e ci tennero per tre giorni e due notti. Non ci diedero cibo o da bere. Non ci permettevano di uscire per i nostri bisogni personali. Soddisfavamo i bisogni dentro la stanza. Ciascuno di noi. Davanti ad ogni altro, donne e bambini e uomini insieme.
Il mattino del venerdì ci misero in vagoni ferroviari. Al mattino sentimmo che un treno stava arrivando e vedemmo che c’erano dieci vagoni. All’entrata della stazione le SS stavano con cani, e ci comandarono di salire, di affollarci in questi vagoni. Non facemmo resistenza, e salimmo sul treno. Non avevamo più alcuna forza. Molto semplicemente, volevamo che finisse velocemente. Dopo così tanti anni non avevamo la forza di resistere ancora.
Eravamo 1.300 anime. E fummo fortunati. Contai le persone nel nostro vagone - eravamo in 103. Era un vagone merci francese, e c’era una annotazione sulla porta: 8 cavalli o 40 persone. Io leggevo il francese. Quando ci misero tutti insieme nei vagoni, non c’era posto per stare in piedi o per sedersi. Alcune persone sedettero sul pavimento, altre erano in piedi, e poi ogni ora cambiavamo posizione. Soddisfavamo i nostri bisogni nell’angolo di questo vagone. C’erano donne e bambini e persone anziane, insieme. Chiusero la porta. Le finestre erano già chiuse, e anche assicurate con filo spinato. Io fui in quel vagone dal venerdì mattino fino alle 2 del mattino successivo. Non ci diedero né cibo né acqua. Non ci permisero persino di portare della neve nel vagone. Volevamo attenuare la nostra sete con la neve; persino questo ci proibirono, ed essi spararono nel vagone davanti a noi perchè qualcuno aveva portato un po’ di neve al suo interno.
Verso mezzogiorno il treno si mosse. Potemmo notare attraverso le aperture nelle finestre che il treno stava viaggiando in direzione di Przemysl - e dopo in direzione di Jaroslaw. Sapevamo che stavano sterminando gli Ebrei delle zone circostanti nel campo di Belzec*. Decidemmo che se il treno avesse svoltato a destra in direzione di Rawa Ruska, avremmo cercato di scappare dal treno. Verso destra era la direzione per Belzec, e a sinistra per Cracovia.
Avevamo solamente ancora una flebile speranza che forse ci avrebbero trasferito a Plaszow, che era un campo di lavoro vicino Cracovia. (Lo sapevamo perchè) loro annunciarono, giorno e notte, che avevano bisogno di treni per la loro vittoria. Non potevamo capire che nonostante ciò trovarono il tempo per trasportare gli Ebrei allo sterminio tutte le volte e di usare treni a questo scopo. Su ogni treno c’era una scritta: "Räder müssen rollen für den Sieg" (Le ruote devono girare per la vittoria).
A quel tempo non credevo che il piano era di distruggere il popolo ebraico, nonostante avessi sentito resoconti da Belzec. Ricevemmo dei rapporti, ma la fiamma della speranza, nonostante ciò, scintillava ancora nei nostri cuori e speravamo che, forse, a dispetto di questo, qualche miracolo sarebbe successo. Continuarono a promettere giorno e notte che stavano fermando le deportazioni, gli stermini. Dal momento in cui vedemmo che il treno stava andando in direzione di Belzec*, svoltò infatti in direzione di Rawa Ruska, qualche scintilla fu risvegliata.
Riuscimmo a forzare la finestra aperta e alcune delle persone del treno saltarono fuori. Vedemmo alcuni saltare e una scintilla venne accesa dentro le persone che volevano salvare se stesse. Ogni volta che una persona saltava fuori, sentivamo degli spari. Su ognuno dei vagoni c’era un SS con una mitragliatrice. Circa verso le 2 del mattino - questo fu oltre Jaroslaw - mia madre mi spinse dal vagone e mi disse di saltare. Saltai dal vagone. Come ho detto, volevamo morire più velocemente. C’era tuttavia un impulso. Non sarei saltato, se mia madre non mi avesse spinto vigorosamente. Lasciai alle spalle, dentro il vagone, mia madre e mio fratello. Mi nascosi nella neve. Arrestarono il treno e iniziarono a sparare nella mia direzione. Attraversai verso l’altro lato del binario e mi feci una buca nella neve; rimasi nella neve per due ore finché sentii il treno muoversi.
Dopo questo non ho più rivisto mia madre, e nessun membro della mia famiglia.
"

* I deportati non potevano sapere che il campo di sterminio di Belzec venne liquidato a quel tempo, e che il treno stava dirigendosi da qualche altra parte (Sobibor via Izbica?).
Basato sulle trascrizioni del processo di Adolf Eichmann.

Brano tratto dalle memorie di Ruta Wermuth:

Ruta Wermuth
Ruta Wermuth
"Nel Settembre 1942, all’intera popolazione del ghetto (di Kolomyja) fu ordinato di radunarsi nel cortile dello Judenrat, presumibilmente per essere registrata. Si presentarono circa 5.000 persone. Nella maniera comunemente utilizzata dai Tedeschi a proposito delle "selezioni", circa 300 furono scelti e inviati a destra - che significava vita. Tutti gli altri, circondati dalla milizia ucraina e dalle SS con cani appositamente addestrati, vennero inviati in gruppo in direzione della stazione ferroviaria.

...La colonna si muoveva lentamente verso la stazione. Ad eccezione del suono di migliaia di piedi striscianti, c’era un silenzio sorprendente. Di volta in volta, un bimbo piangeva, per essere rapidamente zittito dalla madre. C’erano solo pochi bambini, e uomini e donne anziani. Sempre, tra i reclusi più deboli del ghetto, molti dei più giovani e dei più anziani erano morti presto. Il ghetto era stato chiuso all’inizio della primavera, e terrore, fame e malattie si erano aggirate senza sosta.

...Era un lungo viaggio, quello verso la stazione, situata alla periferia della città. Aspettammo invano che accadesse un miracolo... Arrivammo all’edificio della stazione, ma fummo condotti più avanti, alla rampa, dove stava attendendo un treno molto lungo, composto da molti carri bestiame. Le porte dei vagoni erano già aperte, pronte per il caricamento. C’era un odore di cloro, che era stato abbondantemente sparso dentro i vagoni. Obbediente fino a questo punto, alla vista del treno la colonna ondeggiò, poi con un grido finale di disperazione, si ruppe e si disperse. Anche io gridai ? Se così, fu inconsciamente, unendomi all’angoscia di tutti quelli attorno a me.
Improvvisamente sentimmo sparare. Un distaccamento aggiuntivo della milizia ucraina corse attraverso la rampa. Come la Gestapo, portavano lunghe fruste. Le SS e la milizia iniziarono ad attaccare la folla, che era già impazzita di paura. Cominciò l’incubo.
L’abbaiare dei cani, le fruste che schioccavano, gli ordini gutturali dei Tedeschi e le grida volgari degli Ucraini: 'Vorwärts, los, los, schnell, schnell!' e 'Avanti, dannati porci Ebrei!', le voci urlanti si fusero tutte in un singolo grido. Tentando di evitare i colpi, le persone rapidamente si aiutavano l’un l’altra a salire gli alti gradini dei carri bestiame, verso la presunta sicurezza dell’interno dei vagoni. Onda dopo onda, guidati, insultati e maledetti, gli Ebrei rapidamente riempirono i carri bestiame.
Quando fu così pieno che sembrava impossibile che qualcun altro potesse essere aggiunto, un uomo della milizia ucraina, ubriaco, salì nel vagone e cominciò a frustare e colpire in tutte le direzioni. Come conseguenza, le persone che gli stavano vicine si spinsero più in là nel vagone, allo scopo di evitare le sferzate della frusta. Nello spazio così creato, un altro gruppo fu caricato a forza, con l’accompagnamento di urla e colpi. Questo metodo di riempimento dei vagoni era stato lungamente studiato.

...Le grida e le urla non cessarono fino al tardo pomeriggio, quando il treno alla fine si mosse. Verso dove? Non c’era dubbio - in ultimo verso la morte.
Ero in uno di questi vagoni, insieme con i miei genitori. Eravamo ancora insieme. I miei genitori probabilmente ringraziarono Dio per il fatto che persi spesso conoscenza, perchè ciò che stava succedendo dentro il vagone superava la più vivida rappresentazione del purgatorio.
Quanto durò? Ore? Eternità?

Ogni volta che recuperavo conoscenza io ero ancora là - nell’inferno. In un vagone che poteva difficilmente contenere 50 o 60 persone, ne furono stipate circa 200. (...) Pianti, puzza, e l’acre odore del cloro...
Attraverso le grida e il rumore delle ruote del carro bestiame potevamo sentire degli spari. In un attimo di consapevolezza, mi resi conto che eravamo nudi, in piedi, pressati al lato del vagone. Con le loro braccia intrecciate, i miei genitori avevano creato una sorta di rifugio. Fu grazie a questo che io ero ancora viva. Notai che ognuno era nudo, sebbene mi ricordi che noi tutti entrammo nel vagone completamente vestiti. Era così caldo che le persone furono in grado in qualche modo di spogliarsi in mezzo della gente. Quelli che erano nel centro erano probabilmente già morti, ma non potevano cadere.
Improvvisamente, sentii una boccata di aria fresca. C’era adesso più spazio intorno a noi. Mia madre mi sussurrò nell’orecchio: 'Mi senti, mia cara? Se capisci quello che dico, fai un cenno. Alcuni giovani sono riusciti a fare un buco nella fiancata del vagone e sono saltati fuori, uno dopo l’altro. Abbiamo deciso di fare lo stesso. Prima salterà papa, poi tu, e infine io. Il treno sta viaggiando nella foresta, adesso. È notte. Se ce la farai, cerca di nasconderti nella foresta. Non preoccuparti. Ti troveremo successivamente...' Feci un cenno, avevo capito. Prima che mi rendessi conto di cosa era successo, delle braccia forti mi sollevarono e mi spinsero fuori dal vagone attraverso lo stretto foro. Fui sospesa per un momento, trattenuta dalle mie ascelle, soffocata dalla folata di aria fresca. Divenni più consapevole. Non per molto. Le braccia che mi tenevano si aprirono e caddi in un oscuro abisso...
"

Fonti:
Alliance for Murder. The Nazi-Ukrainian Nationalist Partnership in Genocide. Ed. by B. F. Sabrin. New York 1991
Thomas Sandkühler: "Endlösung" in Galizien. Der Judenmord in Ostpolen und die Rettungsinitiativen von Berthold Beitz 1941-1944. Bonn 1996.
Transcript of the trial of Adolf Eichmann, Session 21; 1 May 1961. (District Court Sessions, Volume I)
Ruta Wermuth: Spotkalam Ludzi ("I Met People"), Poznan 2002.

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